Durante gli anni settanta e ottanta, assieme all'interesse nei confronti dei sistemi esperti e dell'intelligenza artificiale, anche a causa della crescente complessità cognitiva delle attività lavorative, si è assistito allo sviluppo di una particolare attenzione nei confronti della conoscenza e, specificatamente, verso la sua rappresentazione ed elicitazione (Cooke, 1999). Questo genere di interesse si è dapprima sviluppato a partire dal desiderio di comprendere le modalità di risoluzione dei problemi (problem solving) utilizzate dagli esperti, per capire se, ed eventualmente in quale misura, era possibile estrapolare le strategie più vantaggiose di problem solving (ibidem).

Conseguentemente a questa nuova focalizzazione sulla conoscenza, anche la questione della sua elicitazione ha assunto un ruolo predominante sia nell'ambito della ricerca di base sia in campo applicativo. Gli sviluppi metodologici del periodo hanno pertanto condotto allo studio di nuove tecniche di elicitazione, impegnando il settore della psicologia e dell'ingegneria cognitiva, nata per soddisfare la necessità di indagare il funzionamento dei processi mentali impegnati nell'ambito di sistemi complessi (ibidem).

La ricerca sulle tecniche di elicitazione è stata influenzata in maniera significativa dalla psicologia cognitiva, che ha fornito un notevole contributo per quanto riguarda lo studio sulla rappresentazione della conoscenza e su come le informazioni vengono organizzate in memoria secondo associazioni dotate di significato (ibidem). A questo proposito sembra opportuno citare le ricerche sui processi di categorizzazione e sulla rappresentazione dei concetti nella memoria semantica, oltre che la ricerca sui modelli mentali. In particolare, gli studi di Rosch sull'organizzazione categoriale lungo le due dimensioni orizzontale e verticale si è rivelato fondamentale (Pallant et al., 1996).

Allo scopo di investigare in maniera scientifica ed empirica l'organizzazione della conoscenza all'interno del sistema cognitivo, sono state utilizzate diverse tecniche di analisi statistica, come la cluster analysis o lo scaling multidimensionale (Cooke, 1999). Quest'ultimo, attraverso l'espressione di giudizi di similarità o dissimilarità di coppie di stimoli, permette di individuarne l'esatto posizionamento all'interno di uno spazio generalmente a due o tre dimensioni, risalendo dalle distanze alle coordinate dei punti.

Comunque, il mero utilizzo delle procedure esistenti si è presto dimostrato insufficiente, dal momento che i principali obiettivi teorici sui quali questi metodi erano stati elaborati non si focalizzavano specificatamente sul problema dell'elicitazione, ma piuttosto su quello della rappresentazione della conoscenza, comportando la necessità di apportare qualche aggiustamento metodologico alle tecniche contemporanee (ibidem).

Sostanzialmente, lo slancio verso questi nuovi sviluppi in direzione di tecnologie innovative nell'ambito dell'elicitazione della conoscenza è stato prodotto grazie al rinnovato interesse nei confronti della rappresentazione delle informazioni, suscitato a partire dalla volontà di scoprire le strategie di problem solving utilizzate dagli esperti, in concomitanza con il recupero delle precedenti ricerche sullo studio empirico dell'organizzazione della memoria (ibidem).

La stretta relazione esistente tra conoscenza e performance rende conto, in ambito applicativo, dell'importanza di utilizzare i modelli mentali allo scopo di migliorare la prestazione (ibidem), specialmente per quanto riguarda l'Interazione Uomo Macchina.

Di seguito alcune fra le principali metodologie per l'elicitazione della conoscenza verranno brevemente esaminate.

Il primo gruppo di tecniche considerate fa riferimento alla generazione di protocolli (protocol generation techniques), ossia comprende tutti quei procedimenti il cui obiettivo è quello di produrre delle registrazioni del comportamento, generalmente in forma uditiva, audiovisiva o scritta (Milton & Shadbolt, 2003).

Una di queste metodologie è costituita dall'intervista, che può presentare le caratteristiche di una conversazione informale fino ad essere composta da un questionario rigorosamente definito (Knight & Jefsioutine, 2002). A seconda del grado di flessibilità che le distingue, le diverse tipologie di interviste si classificano in non strutturate, semi strutturate e strutturate. Le prime concedono ampia libertà al ricercatore, cui viene permesso di esplorare senza impedimenti i domini che desidera. Questo genere di intervista si rivela molto utile come ricerca pilota, quando la conoscenza riguardo al dominio di riferimento è scarsa, oppure come tecnica iniziale allo scopo di stabilire una relazione con l'intervistato (Milton & Shadbolt, 2003; Knight & Jefsioutine, 2002). Le interviste semi strutturate consentono di combinare una rigida agenda prestabilita di argomenti con un certo grado di flessibilità per quando riguarda le possibili domande supplementari (Milton & Shadbolt, 2003). Le interviste strutturate, invece, non contemplano alcuna forma di autonomia per quanto riguarda l'improvvisazione di richieste o nuovi argomenti da parte dell'intervistatore, e spesso richiedono la semplice compilazione di un questionario (ibidem).

Una seconda tipologia di tecniche riguardanti la produzione di protocolli è quella che fa uso dei report verbali (Cooke, 1999; Milton & Shadbolt, 2003). In questo genere di metodologia al partecipante viene richiesto di eseguire un compito e contemporaneamente descrivere ad alta voce le proprie riflessioni, secondo una procedura denominata think aloud (pensare ad alta voce) (Milton & Shadbolt, 2003). Alcune evidenze sperimentali hanno mostrato l'utilità della tecnica del think aloud, in quanto essa consente di evitare bias e altri tipi di distorsioni che avrebbero luogo se il soggetto cercasse di esprimere i propri pensieri una volta terminato il compito (ibidem). Comunque, uno dei principali svantaggi che caratterizzano questa metodologia consiste nell'elevato carico cognitivo che deve essere sostenuto dal soggetto, dal momento che l'esternazione dei propri pensieri durante lo svolgimento del compito produce diverse interruzioni del flusso attentivo, comportando un notevole sforzo mentale ed incidendo sulla prestazione generale. Questo accade specialmente nel caso di ambienti di lavoro complessi o dove il tempo riveste un'importanza centrale (ibidem).

Un secondo raggruppamento di tecniche di elicitazione della conoscenza è quello composto dalle metodologie che hanno come obiettivo la generazione di gerarchie, attraverso la produzione di tassonomie o di altre configurazioni gerarchiche come i diagrammi ad albero (ibidem). Un esempio è costituito dalle tecniche di laddering, che consistono nella creazione, e successiva revisione e modificazione di strutture gerarchiche di conoscenza, frequentemente espresse sottoforma di alberi gerarchici. Dal punto di vista procedurale, generalmente il partecipante ed il ricercatore analizzano insieme una scaletta (ladder), apportando opportuni cambiamenti, cancellando, rinominando o riclassificando i nodi (ibidem).

Un terzo tipo di metodologie è costituito dalle tecniche che, rendendo il compito sperimentale difficoltoso in termini di tempo o di quantità di informazione disponibile, sfruttano la situazione svantaggiosa in cui si trova il partecipante per cercare di estrapolare le strategie più rilevanti o le informazioni più salienti (ibidem).

Il quarto insieme di procedure per l'elicitazione della conoscenza esaminate in questa sede riguarda la produzione e l'utilizzo, congiuntamente da parte del soggetto e dello sperimentatore, di reti o network, in maniera simile a quanto accade per quanto riguarda il metodo del laddering. Una particolare tipologia di queste tecniche è costituita dal cognitive mapping (o mapping cognitivo), che consente l'elicitazione dei giudizi dei soggetti riguardo alle relazioni intercorrenti tra un insieme di concetti riprodotti nella forma grafica di un reticolato che rappresenta un modello mentale (Jackson & Trochim, 2002)

Un ultimo raggruppamento di metodologie concerne i metodi concettuali (conceptual methods), che consentono di elicitare e riprodurre i modelli mentali sottoforma di una struttura composta dai concetti relativi ad un particolare dominio e dalle relazioni che li collegano (Cooke, 1999). I metodi concettuali richiedono solitamente l'attuazione di una serie consecutiva di procedure, quali l'elicitazione dei concetti, l'individuazione delle relazioni che li uniscono, l'analisi e la rappresentazione dei giudizi di similarità e l'interpretazione dei risultati.

Per quanto riguarda l'elicitazione dei modelli mentali, esistono diverse tecniche tra le quali si possono menzionare l'intervista, esaminata precedentemente, e il free listing, un metodo semi-strutturato che consiste nel domandare ai partecipanti di elencare tutti gli esemplari di una categoria che riescono a ricordare (Sinha, 2003; Barsalou, 1985).

Il secondo passo nell'applicazione dei metodi concettuali richiede di stabilire le relazioni intercorrenti tra i concetti individuati. In questo caso risultano molto utili tecniche come la griglia di repertorio (repertory grid) o le procedure di sorting (Cooke, 1999). Il repertory grid consiste nell'elencare, nelle righe e nelle colonne di una matrice, gli item precedentemente individuati ed una serie di attributi che li caratterizzano. Successivamente i soggetti devono valutare il punteggio di ogni stimolo sulla dimensione di ciascun attributo, generalmente su una scala numerica (Rugg & McGeorge, 1997). A questo punto è possibile procedere con l'analisi dei dati mediante la cluster analysis, che permette di raggruppare gli item con punteggi simili, generando un dendrogramma che indica la forza delle relazioni intercorrenti tra i concetti (Milton & Shadbolt, 2003). Tra le tecniche di sorting, invece, la procedura più semplice è quella del card sorting, esaminata in maniera più approfondita dal punto di vista metodologico nel secondo capitolo, e indicata specialmente nel caso in cui il numero di item da catalogare sia maggiore di trenta (ibidem; Cooke, 1999; Maurer & Warfel, 2004). Il card sorting risulta molto utile agli specialisti di Human Computer Interaction per raggruppare le informazioni entro domini categoriali che rispecchino i modelli mentali degli utenti (Mohamedally, Zaphiris & Petrie, 2003).

Una volta individuate le relazioni tra i concetti è necessario applicare delle tecniche psicometriche di analisi dei dati, come la cluster analysis, che attraverso la rappresentazione grafica degli item su un piano, permette di compiere un'opportuna interpretazione dei risultati, fornendo delle utili indicazioni riguardo alla struttura delle informazioni che più si avvicina ai modelli mentali degli utenti (Cooke, 1999).

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